La crisi di liquidità causata dall’insolvenza dei clienti può escludere l’elemento soggettivo del reato di omesso versamento IVA
6 giugno 2022
Il ricorrente, condannato in primo e secondo grado per il reato di cui all’art. 10ter d.lgs. 74/2000, proponeva ricorso in Cassazione lamentando la mancata acquisizione da parte della Corte territoriale di prove decisive volte a dimostrare la situazione di dissesto incolpevole della società e la conseguente mancata possibilità di accantonare le somme necessarie al versamento dell’imposta sul valore aggiunto. Lamentava altresì vizi della motivazione nella parte in cui veniva ritenuto sussistente il dolo richiesto per la configurazione del reato.
L’argomento è particolarmente dibattuto in giurisprudenza; secondo l’orientamento maggioritario l’omesso versamento dell’IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento dei clienti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dalla fattispecie, atteso che l’obbligo di contribuzione prescinde dalla riscossione delle somme ed è riconducibile all’ordinario rischio d’impresa. Sarebbe infatti sufficiente la condotta omissiva consapevole del debitore a nulla rilevando i motivi dell’inadempimento. Secondo il medesimo orientamento, l’esimente della forza maggiore opera solamente nei casi in cui l’inadempimento derivi da fatti non imputabili all’imprenditore ai quali questi non abbia potuto porre tempestivamente rimedio. Irrilevante è anche la crisi di liquidità ove non venga dimostrato che il debitore abbia posto in essere tutte le iniziative per adempiere, anche attingendo al proprio patrimonio personale.
Tuttavia, nel caso di specie, con sentenza n. 19651 del 19.05.2022, la Corte di Cassazione, accogliendo le richieste difensive, annullava la sentenza con rinvio raccomandando di tenere in considerazione le prove dedotte dalla difesa in relazione alla crisi d’impresa ed alle ragioni del mancato versamento dell’imposta. Contestualmente, nell’analizzare l’elemento soggettivo, la Corte sosteneva che la condizione di crisi dell’imprenditore rientra nell’ordinario rischio d’impresa solo laddove gli insoluti siano contenuti in una percentuale fisiologica non eccedente il 40% del fatturato.